PROGETTO LORENZO – ARS pensare → esprimere → condividere

PROGETTO LORENZO – ARS

Ideato a partire dal 90° anniversario della sua nascita, ovvero dal 70° della sua rinascita,
si rivolge e coinvolge entità educative e creative aventi finalità e percorsi attitudinali e professionali convergenti.

con il contributo di

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L’Attualità di Don Lorenzo Milani

Dr. Gianfranco Riccioni
socrates-alcibiades

Lorenzo Liberatore del pensiero e dello spirito

Scrisse Don Lorenzo: “Il mio prossimo non è né la Curia, né l’Africa, né il proletariato: Il mio prossimo sono quelli che stanno accanto a me”.

Sembra una frase elementare, ma essa è significativa delle intenzioni del Priore.

I suoi scritti non sono mai dettati dalla smania di protagonismo. Sono invece nati dall’esigenza d’intervenire in un fatto vicino a lui, in una situazione che va mutata e di cui è urgente prendere atto con cognizione di causa. Eventi che richiamano alla mente la parabola del “buon Samaritano”.

Nelle sue lettere, Don Milani insiste spesso su questo suo intendimento: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio”. È un concetto di base per il Priore portare il massimo rispetto per l’essere umano e sostenere la forte esigenza di difenderlo quando si trovi in uno stato d’inferiorità, specie quando il problema si ponga accanto a lui.

Orgogliosamente persuaso della sua missione di prete e di maestro, appose la scritta “I care” dentro la sua scuola. La impose come il motto dei giovani migliori. 
Fu un vero e proprio “Revisionista”. Studiò e insegnò a studiare la Storia con gli occhi, il cuore e la mente dei vinti e degli sconfitti. Lanciò una vera rivoluzione per la sua epoca e una lezione di critica e autocritica senza tempo e limitazioni.
E spiegava come agire… Conquistando la conoscenza e il controllo della “Parola”, si può conseguentemente acquisire la capacità individuale e partecipata di critica e di scelta nella libertà di giudizio. Mai come prima d’ora il messaggio di Don Lorenzo assume una valenza così forte ed incisiva… Si impone, allora, una sua attenta rilettura.


Esperienze Pastorali

Questa sua assolutamente personale creatura letteraria, ci invita ad una meditazione attiva ed impegnata. In essa si evidenziano quelle tracce identificative di un’incipiente e progressiva decadenza sociale e valoriale. L’unico rimedio, come Egli ci indica, è l’Azione: ovvero “curare e proteggere” in primo luogo i più deboli, gli emarginati, i senza-voce. Vaccinarli contro l’ignoranza e il degrado.

Oggi poi, più che allora. in questi tempi di indifferenza, d’edonismo e consumismo incontrollati, d’egolatria spinta verso il culto del proprio corpo aldilà d’ogni sostenibile ragionevolezza, di disimpegno, di supponenza, del pecoresco perseguimento di mode e d’effimere novità, di stolida insofferenza verso regole dettate dalle più sensate Leggi della sobria convivenza e verso norme e doveri della società civile, d’intolleranza e di pretese di un’estrema e perversa malintesa libertà personale… ecco oggi, dicevamo, noi crediamo che il peggio, tutto considerato, non sia poi che i valori possano talora subire svalutazioni e negligenza (la storia dell’umanità è piena di questi episodi).
Piuttosto ci preoccupiamo pel fatto che per i più, dopo il collasso di un equilibrio morale e sociale, ora sotto gli occhi di tutti, ai nostri giovani manchino punti di riferimento, esempi di solida valenza, speranze di riscatto.
 La precarietà, le variabili della vita votate a una deprimente incertezza esistenziale, il vuoto creato dalla labilità dei sentimenti più profondi ora sostituiti da una ridda di emozioni forti ed effimere, creano attorno al giovane quella carenza di solidi legami affettivi e d’identità col suo ambiente familiare e sociale.
Seguendo l’esempio del “Maestro” Milani, e partendo dall’ambito della nostra peculiarità territoriale e culturale, è necessario dare ragione di speranza, d’entusiasmo e d’impegno, favorendo al contempo l’attività sia del singolo, com’anche del gruppo, a scoprire quel che rende prezioso e desiderabile porsi al servizio di se stessi attraverso gli altri, ovvero quel che può indurre ciascuno di noi a trovare un senso e una ragione d’essere nella propria esistenza.


Fra i temi che Lorenzo affrontava e diffondeva possiamo riconoscerne molti che oggi si pongono all’attenzione generale:


La Chiesa

In Lettera dall’oltretomba denuncia che… i suoi assonnati sacerdoti… hanno mescolato… troppe estranee cause con quella del Cristo…

Oggi, 2013, Papa Francesco I ha rilevato come molti religiosi si siano allontanati da un vero afflato di “servizio cristiano” come essenza della loro vocazione.


La Legge

Alla Legge, Lorenzo chiedeva equità più che giustizia, amore più che pedissequa applicazione della norma, coscienza più che astratta e asettica adesione a parametri standardizzati e burocratici, generosità più che partigianeria e arroccamento corporativo.

Oggi, 2013, ci troviamo di fronte ad una giustizia che si dimostra più garantista coi potenti che coi deboli, più farisaica che comprensiva, più ispirata dall’umore e dal colore delle proprie tendenze o da quello dei soldi che al sentimento della comprensione e allo sforzo di redimere e recuperare.


La Casa, il Lavoro

Da Lettera a Pipetta a Natale 1950 e poi in Lettera dalla Montagna ecco emergere le problematiche della proprietà privata spinta sino a soffocare le più elementari istanze dei bisognosi, e, ancora, gli affitti esosi, i licenziamenti, lo sfruttamento, i pignoramenti.

Oggi, 2013: sfratti, privatizzazione dell’acqua, disoccupazione, precarietà, Equitalia, licenziamenti, pensioni e stipendi da fame.


La Politica

In Lettera a un Predicatore Lorenzo parla delle discriminazioni politiche che arrivano sino alla scomunica.

Oggi, 2013: la lotta politica non conosce remore di sorta. Dove non arrivano le menzogne, le calunnie e l’uso distorto dei mezzi di comunicazione di massa, si ricorre a mezzi più spicci, sino alla violenza vera e propria


La Cultura

In Lettera dalla Montagna e in Lettera a una Professoressa, Don Lorenzo affronta il problema dei dislivelli culturali, delle valutazioni asettiche che creano il perpetuarsi di un’ingiustizia sociale diffusa con conseguenze drammatiche che portano alla discriminazione, all’emarginazione e allo sfruttamento. La padronanza del mezzo espressivo costituisce per Don Lorenzo una prima tappa verso il riscatto umano e sociale di coloro che aspirano a divenire cittadini con pieno esercizio dei diritti e con sincera adesione ai doveri.

Oggi, 2013: i nuovi linguaggi dimostrano l’inconsistenza della parola: social networks, SMS, blogs, gerghi di borgata, termini di moda (o al più generazionali), linguaggi criptici per membri di clan e di consorterie poco chiare, il telefonino stesso sono, paradossalmente, strumenti d’estraneazione.
Le relazioni interpersonali appaiono telegrafiche e soggette a meccanismi di connessione e disconnessione che lasciano poco spazio all’estrinsecazione di pensieri e d’idee.
Le conseguenze sono evidenti: il nostro prossimo è parte di una serie di caselle postali, la conoscenza del linguaggio si è ridotta all’osso utilizzando spesso termini mutuati da altri linguaggi o acronimi assurdi. È del tutto evidente l’avanzare di un clima d’imbarbarimento nei rapporti interpersonali, l’angoscia di un’estraniante incapacità d’intendere e d’esprimersi, la dilagante dipendenza dai miti del momento (cantanti, calciatori, attrici, mode, etc.), il disperato bisogno di non restare soli, d’aggrapparsi a “qualcosa” o a “qualcuno” di solido e costante che appaiono però sempre più sfuggenti e deludenti.
Il nostro mondo culturale è dominato dalla saccente mediocrità, affollato da laureati impreparati e onorevoli analfabeti, d’illetterati di ritorno e di auto-incensanti “maitre à penser”. E tutti dicono di saper fare tutto… Una tecnologica “tuttologia da baraccone”.


La Coscienza

Don Lorenzo aveva bene a mente le parole di Gesù in croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. 
Tutti siamo tenuti a obbedire a leggi e regolamenti. Ci sono poi leggi-non-scritte dettate dalla necessità della convivenza civile e dalla tradizione culturale. Ma il sale della vita di un uomo sta nel suo “Discernere secondo Coscienza”.
I soldati che portarono Gesù al Tempio, e poi da Pilato e da Erode, lo condussero infine a morte.
 L’ipotesi della loro ignoranza è fondata quando si rifletta che persino gli apostoli avevano ben poco compreso la magnitudine degli eventi e del loro Maestro. Erano dunque tutti ignoranti, chi più e chi meno, e quindi erano anche innocenti di quel Sangue.
Fra le virtù morali Don Lorenzo non prevede l’obbedienza.
L’uomo che si è impadronito della “Parola, per mezzo d’essa l’uomo costruisce” (Gn.11,1‐4), conosce, nell’ambito delle reciproche libertà, quale possa essere la scelta migliore.
 Grande è il potere educativo, formativo e liberatorio della Parola, ma può divenire anche perverso e condizionante.
 Quindi, colui che è padrone del Verbo, colui che conosce, da un lato è libero ma se falla, non può pensare di sfuggire alle proprie responsabilità, poiché ha scelto in libertà di coscienza e di conoscenza.
 “Se non fossi venuto, se non gli avessi parlato, non avrebbero colpa, ma adesso non hanno scusa per il loro peccato” (Gv.15,22).

Oggi,
 2013, l’art. 11 della vigente Costituzione Italiana ripudia la guerra come forma di aggressione. Ma le nostre parole mentono per noi e mantengono segreta la verità che non abbiamo il coraggio di affrontare. Si parla di pulizia etnica come di uno scambio di popolazione‐trasferimento di cittadini. Un massacro viene definito danno collaterale inevitabile. Talora l’aggressione militare s’ammanta dei colori di una missione di pace. La brutale e forzata assimilazione viene spacciata per integrazione socio-culturale.
Freud chiama questa ipocrisia del linguaggio… Negazione.
 Il risultato è una falsificazione del nostro apparato cognitivo, che misconosce ciò che in verità conosce. Emozionale, perché sterilizza i nostri sentimenti nell’indifferenza, Morale, perché ci esonera da qualsiasi responsabilità e, infine, d’Azione, perché non promuove alcuna risposta a quanto si conosce.


Noi siamo qui

per testimoniare questi fatti nel solco della “Lezione” di Don Lorenzo.

Hic est aut nusquam quod quaerimus.

Lorenzo sapeva bene quale era la verità.

Egli non ci assolve, ci pone dinanzi alle nostre responsabilità, ci impone di considerare il nostro prossimo, quelli accanto a noi: senza alibi o sotterfugi.